venerdì 17 ottobre 2008

Chi sono i veri leader

Per fare prosperare e vivere a lungo un'impresa o un'istituzione, il capo non deve solo saper scegliere ma anche formare i suoi collaboratori, farli crescere. Per riuscirci deve occuparsi di loro, motivarli, metterli alla prova, correggerli, farli tentare di nuovo. Ho visto però molti imprenditori, molti manager e alti funzionari pubblici che invece tendono a concentrare tutto nelle proprie mani. Assegnano ai collaboratori un compito limitato, specifico, gli forniscono solo poche informazioni. E guai se qualcuno allarga un po' la sua visuale, se fa nuove proposte originali, se prende iniziative. Perché agiscono in questo modo? Alcuni lo fanno perché sono dei mediocri, non sanno affrontare e risolvere i problemi, non sanno decidere. Chiacchierano, promettono, rinviano. Non delegano perché temono che i collaboratori possano superarli, sono terrorizzati all'idea che qualcuno di essi possa offuscare il loro ruolo e, domani, usurparne il posto. Invidiano chiunque emerga e perciò lo frenano, lo frustrano, lo paralizzano. Ci sono però anche dei capi che, pur essendo attivi ed energici, non delegano e non insegnano. Di solito lo fanno perché non hanno fiducia negli esseri umani, sono sospettosi, vedono dovunque complotti e intrighi e temono che i dipendenti possano sbagliare e fargli fare cattiva figura. Vogliono attorno a sé solo degli esecutori, non dei collaboratori. Per giustificarsi dicono che non trovano persone capaci, in realtà sottovalutano gli altri e sopravvalutano se stessi. Sono autoritari, vogliono essere gli unici protagonisti dell'impresa, però quasi sempre falliscono perché perdono tempo in questioni di dettaglio e trascurano quelle importanti. Ci sono infine dei capi che non fanno crescere i propri dipendenti perché pensano solo a se stessi. Non gli importa nulla dell'istituzione che governano, del suo sviluppo, del suo futuro, vogliono solo far bella figura e aver successo finché la dirigono loro. Non gli interessa cosa succederà dopo, non vogliono né un continuatore né un erede, non gliene importa niente. Chi si preoccupa allora di fare crescere i suoi, di formarli, di farli diventare dei capi? Solo chi si sente tanto forte da poter aiutare gli altri, solo chi pensa più all'istituzione che a se stesso e si considera uno strumento per orientarla ad inventare cose buone e che durano nel tempo. E comprende che, se si circonda di persone motivate, valide e capaci, alla fine ne avrà meriti e riconoscimenti.
Francesco Alberoni                    

2 commenti:

Anonimo ha detto...

mi sembra che in questo articolo alberoni abbia evidenziato bene la negazione della leadership, ovvero come non esercitare la leadership pur essendo in posizioni di potere acquisito e non meritato. Molto diffuso in Italia.

Anonimo ha detto...

entradentro ha davvero un punto di vista che parte dal dato di realta´. Se tutto e´il contrario di tutto, nell´esercizio della leadership il potere acquisito o non meritato si evidenzia nel modo contrario a quanto abbia asserito entradentro. Eccetto che in Italia